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INTERVISTA A MARINA ABRAMOVIC a cura di Stefano Pirovano

Le nuove generazioni la considerano un punto di riferimento, la storia già la ritiene una delle artiste più importanti dell’ultimo quarto del Novecento. Vincitrice nel 1997 del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, Marina Abramovic è oggi una delle migliori performer della scena artistica e la sua vena creativa non sembra dare segni di esaurimento. Nel 2006, in una personale che le viene dedicata all’Hangar Bicocca di Milano, presenta in anteprima per l’Italia un lavoro realizzato con il supporto di una casa di produzione, la Destricted, conosciuta per aver fatto girare film erotici ad artisti come Matthew Barney, Larry Clark, Sam Taylor Wood, Marco Brambilla. Il risultato è un’opera di sorprendente umanità, ed è da questo lavoro particolarmente emblematico che partiamo con la nostra intervista



SP: Il lavoro Balkan Erotic Epic, prosegue una sorta di ciclo iniziato quasi dieci anni prima con Balkan Baroque. Poi è venuto il momento di guardarsi alle spalle…
MA:
Ho deciso di fare una mostra dal titolo Balkan Epic in cui mostrare tutti I lavori fatti sui Balcani, o a proposito dei Balcani – che, come sai, sono la mia terra d’origine. Gli altri sono: Balkan Baroque - che è uno dei primi lavori, il più complesso - The Hero - una performance realizzata con i bambini. Quindi Tesla Urn dedicato allo scienziato Nicola Tesla, che ha lasciato la Jugoslavia per trasferirsi in America, e che ha sperimentato tra le altre cose la corrente senza fili. Poi Nude With Skeleton, sempre realizzato in Jugoslavia, che è una riflessione sulla morte, e infine Balkan Erotic Epic

SP: Come in alcuni dei tuoi più celebri lavori - Balkan Baroque appunto, per il quale sei stata premiata alla Biennale di Venezia del 1997 – hai scelto in Balkan Erotic Epic di riflettere su un tema universale attraverso una cultura vernacolare, o volgare in senso etimologico. Quali sono le ragioni di questa scelta?
MA:
La pornografia è sempre stata considerata volgare, come un modo molto espressivo per esibire corpi femminili nudi e voluttuosi. Volevo vedere quanto potevo andare in profondità a questa idea di eros e così ho cercato di trovare i percorsi dell’erotismo del passato. Sono tornata alla cultura pagana, specialmente a quella dei Balcani, e nella ricerca ho trovato molti testi risalenti ai secoli XIV°, XV°, XVI°, e persino alcuni riti dei nostri giorni, dove gli organi sessuali, maschili e femminili, sono usati come strumenti taumaturgici, per curare malattie, per favorire la fertilità, per comunicare con gli dei. Ho pensato che sarebbe stato molto interessante mettere di nuovo in scena alcuni di questi riti - che spesso esistono solo nelle descrizioni dei testi - in modo da rappresentarli come oggi li vediamo, cercando di stabilire una relazione tra il presente e una primordiale concezione di sessualità.

SP: Hai vissuto il periodo della rivoluzione sessuale riflettendo spesso sul valore del corpo come territorio di sensazioni, come nel caso di Imponderabilia, la celebre performance realizzata nel 1977 alla Galleria d’Arte moderna di Bologna. Nel frattempo molti artisti, in ogni parte del mondo, hanno scoperto il potere espressivo del corpo mettendolo in relazione con ideali positivi come quelli di libertà, fraternità e uguaglianza. Attraverso gli anni Settanta e Ottanta i risultati di questa rivoluzione sono stati spesso strumentalizzati dall’industria del porno, che è cresciuta enormemente. Oggi la prima parola chiave cliccata su internet è “sex” e la nostra società sembra avere con la sessualità qualche problema... Cos’è successo?
MA:
Penso che sia un problema veramente serio visto che il sesso è la prima energia del nostro corpo, dato che induce la riproduzione. Ma questa energia può essere diretta verso diverse cose. L’energia sessuale può indirizzarsi ai processi creativi, oppure diventare violenza, aggressività, o addirittura portare a una guerra, un fenomeno che ho sempre pensato essere connesso alla repressione dell’energia sessuale. La sessualità ha a che fare con le restrizioni, con la religione e la società politica spesso vuole mettere sotto controllo questa forza, attraverso la repressione. La repressione è all’origine di orrendi fenomeni come stupri e violenze. Le armi e gli atti di violenza si possono vedere su tutti i media, specialmente in TV. Mi sembra qualcosa di seriamente anormale perché da un altro lato, nello stesso momento, si assiste all’esibizione della sessualità più edonistica. Anche le riviste sono piene di riferimenti espliciti alla sfera della sessualità. La televisione italiana è molto indicativa in questo senso, penso alle ragazze delle previsioni del tempo che si atteggiano come star del porno…
Nel mio video, erotico ed epico, non mostro solo la donna, inoltre entrambi i sessi non sono mai esibiti come nella TV commerciale. Mostro il maschio in posizione eroica, con l’organo eretto, ma sembra molto diverso da ciò che normalmente si vede, perché se mostri il sesso in connessione a elementi che riguardano la spiritualità scompare completamente ogni banalità e volgarità. E’ molto interessante vedere come in America l’esibizione esplicita dei genitali di donne che si alzano la gonna e corrono sotto la pioggia - donne di settantacinque anni, come di venti – venga percepito come nient’affatto scandaloso. Agisce un’associazione d’idee completamente diversa, anche se quelli esibiti continuano a essere degli organi genitali. Del resto uno dei compiti dell’artista è quello di prendere cose dalla vita di tutti i giorni e trasformarle e mettere il loro significato in un nuovo tipo di relazione… questo è ciò su cui questo lavoro vuole riflettere.

SP: E’ dunque questione di come le cose vengono messe in relazione tra loro…
MA:
Esattamente. E ciò che è interessante è che Balkan Erotic Epic riguarda la guerra, le difficoltà e le sofferenze, i problemi riguardo al futuro dei bambini. C’è eroismo, passione e una sorta di insostenibile pesantezza che riguardava la situazione in Jugoslavia, ma c’è anche una forza erotica che oggi rappresenta la possibilità di sopravvivere. Questi elementi sono messi in una specie di miscela…

SP: Temi come quello dell’identità o dell’origine degli individui sembrano presenti nei tuoi lavori recenti. Il problema dell’immigrazione e della conservazione delle culture straniere ti ha ispirato in qualche modo?
MA:
Sono stata lontana dalla Jugoslavia per molti anni, l’ho lasciata cirva trent’anni fa. Sono stata in Australia, ho conosciuto gli aborigeni, sono andata in Tibet, ho cercato le culture lontane, soprattutto a est, interessandomi per lo più al modo in cui queste culture considerano il corpo. Un modo che è concentrato sulla mente, più che sulle apparenze fisiche, e su come la mente può essere controllata. Questo mi ha permesso di imparare la tecnica da usare nel mio lavoro di performer. Una volta tornata in Jougoslavia mi c’è voluto molto tempo per prendere distanza, ma solo se sei distante puoi vedere con chiarezza. Allo stesso modo ora posso vedere cose della mia cultura che non avrei mai visto, o fatto, se vi fossi rimasta dentro. Per me l’idea di emigrare e allontanarmi dalla mia cultura è un modo pormi più vicina a lei.



SP: Com’è stato lavorare con Neville Wakefield e Frederick Carlström della casa di produzione Destricted? I modi del cinema hanno cambiato il tuo approccio al lavoro?
MA:
Non è stato realmente cinema, ho solo usato una tecnologia migliore. Nella prima parte degli anni Sessanta il video è stato spesso usato con scadenti macchine da ripresa e quindi scadente qualità. Poi si è passati al formato Super8, trasportandolo su video (videotape, n.d.r.) in un secondo momento, quindi alle telecamere digitali. Per la prima volta ho lavorato in 35mm, per poi riversare tutto di nuovo su video. E’ solo una questione di qualità. Allo stesso tempo un video è per me differente rispetto a una performance, visto che nel video posso creare una messa in scena esattamente come in un film. Faccio una specie di produzione, non sono certo l’unica, molti artisti fanno così e alla fine riversano i materiali su video. La questione è semplicemente quella di usare il film come uno strumento che ha risultati migliori rispetto al video, ma che non è esattamente un film, in senso cinematografico.

SP: E’ un potere più grande quello del sesso o quello dell’amore?
MA:
Non c’è paragone. L’amore è una delle cose più pure e più importanti in assoluto. Il sesso è solo una conseguenza dell’istinto di riproduzione. Ma senza amore non possiamo esistere.

SP: Pensi che la pornografia abbia il potere si imporre modelli di riferimento alle nuove generazioni? Pensi che l’arte possa fare lo stesso?
MA:
E’ veramente difficile rispondere a questa domanda perché in realtà c’è una gran quantità di gente che non ha bisogno d’arte, ma che ha bisogno di pornografia, football, auto sportive. La vera questione è come una persona sviluppa la sua spiritualità. C’è un momento nella vita in cui sviluppi la spiritualità. Ho sempre pensato che la pornografia pura fosse qualcosa di realmente basso e noioso. Le persone soddisfano bisogni molto semplici cercando di avere più sesso o beni materiali e quando hanno avuto tutto questo c’è un momento nell’evoluzione della loro coscienza in cui capiscono che hanno bisogno di qualcosa di più elevato. In quel momento arriva l’arte. Ma l’arte è appunto un’evoluzione e non si può dire che chiunque voglia questa evoluzione. Ci sono molte persone su questo pianeta che possono vivere senza arte per tutta la vita, e l’arte non la cercano nemmeno. Non è per nulla facile convincere il pubblico che l’arte può cambiare il mondo. Io non penso che possa farlo, ma credo che l’arte possa porre alcune importanti domande alla nostra coscienza e generare una forma di consapevolezza.

SP: L’arte è in un certo senso un atto d’amore…
MA:
Uno degli elementi del mondo dell’arte è certamente l’amore. Devi dare, gli artisti devono dare incondizionatamente. Così penso di dover generare atti d’amore per poter dare.

SP: So che collezioni documenti video dal mondo del teatro, della danza, della musica e delle arti performative in genere. Hai recentemente trovato qualcosa di cui ti va di parlare?
MA:
Ci sono veramente molte cose… Recentemente ho visto una performance di Isabelle Huppert. Lei stava ferma di fronte al pubblico per un’ora e cinquanta minuti, lasciando semplicemente che il testo le uscisse dalle labbra. L’ho trovata una performance incredibilmente bella. Sono rimasta molto, molto emozionata. In teatro è difficile fare qualcosa di nuovo, ma penso che sia possibile creare un certo stato della mente quando gli elementi carismatici della performance arrivano al pubblico. Lei ha parlato in francese di fronte a un pubblico americano e nessuno fiatava. E questo era sorprendente. Vedo molte cose differenti, mi piace guardarle, collezionarle e portarle nella mia vita. Mi piace mettere il mio lavoro in relazione alle cose che mi interessano, perché penso che in questo modo acquisti molto più senso.

FOTO 1 > Balkan Erotic Epic, 2001-2003
FOTO2 > Nude with Skeleton, 2003
Courtesy dell’artista

Intervista tratta dalla rivista Around Photography n. 8 pubblicata nel gennaio 2006
Riproduzione riservata © Editrice Quinlan

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