HOME PAGE

FRAME

SADAKO E IL FUNGO DI HIROSHIMA di Annarita Curcio

Due icone a confronto, nel 65° anniversario del lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Naghasaki

pubblicato il 9 giugno 2010
Image and video hosting by TinyPic Che cosa fa di un’immagine un’icona? Quali i suoi connotati? Quando e perché un’immagine iconica diventa il fulcro di un processo di elaborazione di un trauma collettivo come una guerra? Per rispondere a queste domande, su cui larga parte del mondo accademico anglosassone, non smette di interrogarsi, esaminiamo due immagini che ancora oggi riassumono emblematicamente uno degli eventi più drammatici della storia del XX secolo: lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto del 1945, che provocò la resa del Giappone e pose fine al secondo conflitto mondiale.
La prima immagine ritrae Sadako Sasaki, un’adolescente morta di leucemia, per effetto delle radiazioni, all’età di soli 12 anni nel 1955. La seconda, assai più nota al pubblico occidentale, mostra il fungo atomico come esso fu freddamente fotografato dal bombardiere Boeing B-29 al momento dell’esplosione. Prima di addentrarci nell’analisi di queste due immagini, può tornare utile tentare una precisazione di quello che definiamo icona: etimologicamente deriva dal greco eikon e significa immagine nel senso più ampio del termine. Ma vale la pena ricordare la funzione delle icone sacre in ambito religioso. I cristiani furono i primi a darsi al culto delle icone, successivamente questo fu ripreso dai cristiani ortodossi. Secondo la leggenda, queste immagini sacre non erano realizzate da mani umane ma al contrario viste come copie delle immagini originali di Cristo, della Vergine Maria, dei santi e delle scene bibliche. Vale a dire che le icone erano da intendersi come emanazione diretta del numen, il divino invisibile. Per mezzo delle icone, i fedeli potevano visualizzare il soggetto rappresentato. Sulla base di queste brevi indicazioni potremmo, per traslato, definire le “icone secolari” dei nostri tempi tutte quelle foto che fin dal momento della loro apparizione si imprimono nella coscienza collettiva per la loro imperativa forza rappresentativa e simbolica. Il fondamento su cui si basa l’assunto per cui una fotografia può essere investita di un ruolo pari a quella dell’icona sacra in ambito religioso è che la fotografia è una autentica e trasparente riproduzione del mondo intorno a noi. Questa idea dell’oggettività dell’immagine fotografica ne fa uno strumento potente nelle mani del sistema di informazione, in quanto essa, al pari degli audiovisivi, viene recepita come una imparziale trascrizione della realtà.
Il realismo della fotografia e le sue potenzialità comunicative spiegano la nascita del fotogiornalismo, ovvero il perché oramai l’immagine fotografica venga posta a corredo di qualsiasi testo che aspiri a fornire un resoconto il più possibile oggettivo ed imparziale della realtà presa in esame. Chiarito il presupposto che fa dell’immagine fotografica un potenziale strumento di comunicazione nella scena pubblica, cominciamo col dire quando e perché una fotografia può assurgere allo status di icona. Ci viene in aiuto Vicky Goldberg che nel suo libro The Power of Photography: How Photographs Changed our Lives definisce le icone secolari: “ (…) rappresentazioni che ispirano un certo grado di terrore, misto con compassione, e che stanno per un’epoca o un sistema di valori. (…) Esse concentrano le speranze o le paure di milioni di persone e permettono un’istantanea connessione con un momento profondamente significativo della storia.” Pertanto si potrebbe dire che l’immagine iconica è un’immagine che per il suo contenuto e la sua forza visiva riesce immediatamente ad attirare l’attenzione pubblica provocando unanime consenso o unanime dissenso.
Si è scelto di concentrarsi su questa foto di Sadako, perché è quella più utilizzata e riprodotta. La foto fu scattata dal suo maestro di scuola il 16 marzo del 1955, in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi di scuola media. Sta di fronte a noi, ci fissa docilmente e indossa un kimono regalatole dalla madre un mese prima di entrare all’ospedale. Durante la degenza la bambina piegò mille gru di carta come simbolo di speranza imperitura. Il gesto ripetitivo giovò a Sadako nell’alleviare le sofferenze ma valse anche come gesto apotropaico per allontanare l’ombra di una morte incombente. Dopo la sua morte, avvenuta il 25 ottobre del 1955, la gru di carta divenne il simbolo della lotta solitaria e disperata di Sadako e fu usata come logo per diffondere il valore universale della pace. A tutt’oggi, bambini da tutto il mondo inviano ogni anno migliaia di gru in segno di rimembranza. Addentrandosi nel cuore della questione, bisognerà rispondere a una serie di domande. Primo, perché proprio le foto di Sadako divennero icone di innocenza vilipesa, latori di dovere etico e bandiera della lotta contro la bomba atomica? Secondo, altri bambini morirono come Sadako, ma cosa fece di Sadako fonte di unanime riprovazione fino al punto di ispirare monumenti, mostre, opere d’arte, libri, film, canzoni, cartoni animati, innalzando la sua immagine a icona della bomba atomica?
Una prima risposta la si può ricavare leggendo Children of the paper crane di Masamoto Nasu. Ivi, l’autore afferma che la lotta di Sadako contro la leucemia ebbe qualcosa di eroico. La bambina sopportò l’aggravarsi della leucemia fingendo di ignorare l’epilogo fatale che l’attendeva (Nasu si è avvalso delle testimonianze dei familiari e di quanti sono stati accanto a Sadako in quei giorni). Una figura carismatica, così la descrive l’autore, che si attirò la benevolenza di dottori, infermieri, pazienti e compagni di scuola. Inoltre, per dirla con Nasu: “Una coincidenza di persone, eventi, e il tempo in cui tutto ciò accadde finì col collocare Sadako al centro di un movimento: il movimento dei bambini per la pace”.
In altre parole le argomentazioni di Nasu si fondano sull’idea che Sadako assurse allo status di icona, innanzitutto per via della forza e saggezza con cui cercò di contrastare la malattia, qualità del tutto inusuali per una bambina di quell’età; infine perché la sua fu “una morte da martire”. Il carisma e il martirio sono due dei fondamentali attributi che consegnano un personaggio storico al rango di icona, quale che sia la sua storia e provenienza. Questo ci sembra dire la Goldberg, quando afferma che le immagini iconiche: “(…) non sono meramente simboliche, esse, cioè, non alludono meramente a qualcosa fuori di loro (l’olocausto della bomba atomica nella fattispecie, N.d.a), ma rappresentano intensamente e in prima istanza il soggetto rappresentato”. In forma consequenziale anche la foto si carica di un’aura del tutto particolare, poiché a morte avvenuta e nell’atto dell’esposizione della medesima, qualcosa del soggetto si impianta nella immagine. Immediata scatta l’associazione a un’altra vicenda storica che ha dei connotati non del tutto dissimili da quelli di Sadako, mi riferisco ad Anne Frank. Quest’ultima, per ovvie ragioni, assai più presente nell’immaginario occidentale di quanto non lo sia Sadako, grazie anche all’indefessa opera di divulgazione compiuta dal padre, unico superstite della famiglia, divenne ed è tuttora simbolo e memento dei campi di concentramento nazisti. Sia Sadako che Anne morirono molto giovani, rispettivamente a 12 e 15 anni. Entrambe lasciarono un segno di attiva resistenza: Sadako migliaia di gru di carta; Anne un diario. Entrambe divennero delle icone dopo la loro morte, e loro foto assieme alle foto degli Hibakusha e dei campi di concentramento nazisti significano: “(…) la fine della modernità così come essa era stata intesa e sognata fino a quel momento e l’avvento di un nuovo mondo fatto di terribili potenzialità”.
Perciò, malgrado le loro immagini si riferiscano evidentemente a due diversi momenti della storia del XX secolo, tuttavia hanno in comune l’uguale capacità di recare in sé cogenti significati che vanno ben al di là del frame della foto. Latente in queste immagini è l’annichilimento di molti altri innocenti. In quanto tali, esse non pretendono soltanto di rappresentare o documentare il particolare evento o soggetto rappresentato, ma stanno anche metonimicamente per il più ampio scenario della guerra. Inoltre, le immagini iconiche hanno sì un valore indessicale, ovvero rappresentano mimeticamente il soggetto, ma anche un valore simbolico, dando così allo spettatore la possibilità di cogliere l’estensione di una tragedia che, come la guerra, resiste a ogni parafrasi.
La morte di Sadako avvenne in un anno cruciale: nel 1955, vennero infatti inaugurati a Hiroshima il museo e il parco della pace. Inoltre ebbe luogo la prima conferenza mondiale contro le bombe atomiche e all’idrogeno. Nel ricordare tali eventi il premio Nobel Kenzaburo Oe ha scritto: “Dopo lunghi, scuri e silenziosi giorni di intensa e isolata sofferenza umana, la prima conferenza mondiale diede alla gente di Hiroshima la sua prima chance per raccontare pubblicamente la sua esperienza. (…) Quella conferenza non solo diede una traiettoria al movimento per la pace in Giappone e nel mondo ma diede anche ai sopravvissuti della bomba un’opportunità per riguadagnare la propria umanità”. Dunque dopo anni di completa e forzata rimozione, dovuta principalmente all’occupazione militare americana che impose la censura su ogni tentativo di diffondere per iscritto e per immagini gli effetti della bomba, finalmente l’opinione pubblica stava tardivamente cominciando a ricordare. In un tale processo di riappropriazione di un passato tanto traumatico le immagini di Sadako hanno giocato un ruolo niente affatto secondario. Il movimento dei bambini per la pace ha usato le sue foto come documento per non dimenticare e come arma per generare un reazione di rigetto morale contro la guerra.
La storia di Sadako è arrivata negli Stati Uniti solamente nel 1979. Il libro di Eleanor Coerr Sadako and the Thousand Paper Cranes ha enormemente contribuito a divulgare nel mondo occidentale la sua emblematica vicenda. Il testo della Coerr non è stato però un contributo isolato, al contrario esso rientra appieno nell’alveo del movimento per la pace che ha giocato un ruolo fondamentale nel rendere di dominio pubblico la potenziale pericolosità dell’arma atomica. Tuttavia, per il pubblico occidentale, in primis per quello americano, è stata l’immagine del fungo atomico che ha simbolizzato per lungo tempo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki.




























Il 20 agosto del 1945 le fotografie del fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki furono pubblicate sulla celebre rivista Life. Lungi dal voler essere un’implicita ammissione di colpa, la pubblicazione di queste immagini furono accompagnate da una vera e propria campagna pubblicitaria finalizzata a giustificare l’uso di un’arma dal potenziale tanto distruttivo. Inoltre le autorità impedirono che materiale scomodo proveniente dal Giappone potesse in qualche modo infiltrarsi nelle maglie della censura mediatica e destabilizzare la versione ufficiale dei fatti. Fu per questo che milioni di americani credettero senza remore alla versione del presidente Truman secondo cui la bomba era stata utilizzata per distruggere una base militare e per evitare l’invasione del Giappone. Coerentemente con questa versione dei fatti, gli americani videro soltanto immagini del fungo. Ovvero un’immagine tanto evocativa quanto “evasiva”. Se infatti da un lato questa immagine ha il pregio di alludere efficacemente alla potenza dei suoi effetti distruttivi, dall’altro confina nell’inimmaginabile le migliaia di vittime dell’atomica. Lo storico James Farrell si è espresso a tal proposito affermando che l’immagine della bomba avallò l’idea che fosse quasi una nuova catastrofe naturale e non un artificio umano. Inoltre, come suggerisce di nuovo Farrell, è anche la parola “fungo” che evoca un “fenomeno naturale”.
In maniera simile, il giornalista Toshihiro Kanai ha espresso irritazione per la deludente qualità informativa di questa fotografia anche e non ultimo perché essa ha aiutato i gruppi di potere americani a diffondere e “naturalizzare” una distorta versione dei fatti. Nell’estate del 1964, Kanai ha promosso la compilazione di un documento sugli effetti della bomba atomica nel quale egli stesso ha scritto: “Il grande desiderio dei superstiti della bomba A è quello di assicurarsi che tutto il mondo comprenda pienamente la natura e l’estensione della miseria umana e non l’entità distruttiva di una bomba atomica”. Altrove egli ha riassunto la sua rabbia e frustrazione in maniera ancora più eloquente: “La bomba atomica è conosciuta per il suo immenso potere o per l’olocausto umano che essa provoca?”. Quindi la diffusione e la circolazione dell’immagine del fungo, malgrado la sua capacità evocativa, fallì nel rappresentare obiettivamente i morti e i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. Questa foto esemplifica alla perfezione in che misura un’immagine possa essere a sua volta un centro di conflitto tra opposti artefici della storia.
Con il tempo la memoria si offusca e con essa anche i suoi vessilli perdono risonanza e significato. In conclusione, viene naturale domandarsi se il ritratto di Sadako e l’immagine del fungo atomico siano ancora delle tracce vivide di quello che è accaduto più di 50 anni fa a Hiroshima e Nagasaki. Queste immagini sono andate incontro a diversi processi di consumo e ricezione, quella del fungo è stata svuotata di significato, la Goldberg, che ha analizzato quest’ultimo aspetto, ha scritto: “la nuvola atomica è stata addomesticata nel suo potenziale comunicativo dall’uso e abuso che se ne è fatto, tanto che quasi è stata ridotta a livello dei cartoni animati”. Col tempo il fungo si è trasformato in un mero cliché, un simbolo vuoto esautorato del proprio specifico significato.
Per una valutazione dell’attuale ruolo delle immagini di Sadako, occorre prendere in considerazione il contesto giapponese a cui appartengono. Per prima cosa, il deliberato tentativo perpetrato dal governo nipponico di dimenticare questa vicenda, a causa dell’incapacità di riconoscere l’esistenza di un nemico temibile e quindi potenzialmente superiore come l’America; in secondo luogo non va dimenticata la componente morale, ovvero la vergogna per la sconfitta, molto forte nella generazione che visse durante gli anni della ricostruzione. A tal proposito Jay Lifton ha detto: “La grande maggioranza non aveva cognizione della guerra ma solo una vaga idea. Ma ciò che divenne chiaro, quando cominciai ad esplorare assieme a loro il senso che avevano di loro stessi e del loro mondo, fu l’enorme importanza che diedero, sebbene espressa in maniera indiretta, al fatto che il Giappone era stato l’unico paese ad essere esposto alla bomba atomica”. L’esperienza di Lifton risale agli anni ‘60, pertanto, ci chiediamo cosa sia successo nel frattempo. Si può supporre un ulteriore processo di oblio che coinvolge soprattutto le nuove generazioni.
Abbiamo visto come le immagini di Sadako si siano ridotte a reliquie del passato. In quanto tali esse pretendono rispetto, come quando si rispettano quelle icone avvolte da un’aura di santità. Purtroppo il ricordo del dramma nucleare è stato ormai relegato a quei pochi giorni di commemorazione. Certo, questo è pur sempre un modo per guidare la memoria collettiva verso l’oggetto del ricordo. Senza questi giorni di “ricordo programmato”, infatti, probabilmente anche il nome e il simbolo di Hiroshima sarebbero stati sostituiti da altri nomi e altri simboli.

VERSIONE STAMPABILE


Image and video hosting by TinyPic

FOTOGRAFIE E ARCHITETTURA di Piero Orlandi
Alleanze e conflitti [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

UNITA' DI PRODUZIONE MULTIMEDIALE di Sergio Giusti
"Documentazione performativa" incentrata sul lavoro di sessanta musicisti all'opera in un ex stabilimento milanese. Un ibrido tra musica, performance, video-arte e documentario, ambientato in una vera e propria 'Factory', che vede tra gli altri il coinvolgimento di gruppi come Baustelle, Afterhours, Verdena, Zen Circus. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

INTERVISTA A GABRIELE BASILICO a cura di Luisa Siotto
Vogliamo ricordare Gabriele Basilico, scomparso prematuramente lo scorso 13 febbraio, pubblicando per la prima volta on line questa bella e approfondita intervista rilasciata nel 2004 alla rivista "Around Photography". [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

MARIO CRESCI - LA CURA. di Roberto Maggiori
Un recente lavoro di Mario Cresci offre lo spunto per riflettere sullo "stato dell'Arte" nel nostro Bel Paese. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

SU GIOLI E LA NATURA DELLA FOTOGRAFIA di Giacomo Daniele Fragapane
Breve brano estratto dal testo critico pubblicato in Paolo Gioli Naturæ. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

CIAO ANDO
Il più caustico, arguto, ironico e irriverente critico della fotografia italiano ci ha lasciato all’età di novant’anni. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

LA NATURALEZZA IMPLICITA NEL GESTO FOTOGRAFICO di Roberto Maggiori
Ultimamente si fa un gran parlare di Serge Latouche, di decrescita, di ritorno a concezioni della vita e del consumo più naturali. Al cinico approccio razionale iperproduttivo inizia finalmente a contrapporsi un modo di fare ragionevole, più vicino all’equilibrio naturale che alle logiche dell’economia capitalista. Gli artisti come sempre anticipano il pensiero comune e già dagli anni ’50 molti di loro rifiutano il razionalismo asettico per tornare a sporcarsi le mani con la Natura e la sua rappresentazione. E’ il caso di Nino Migliori e di molti suoi lavori dal 1948 a oggi. [segue...]



FAUST DI ALEKSANDR SOKUROV recensito da Angelo Desole
Da pochi giorni nelle sale cinematografiche italiane il film vincitore del Leone d'Oro alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia. [segue...]



INTERVISTA A CHRISTIAN BOLTANSKI a cura di Paolo Berardinelli
Continua la digitalizzazione dell'archivio della rivista Around Photography. Questo mese pubblichiamo per la prima volta sul web un'intervista a Christian Boltanski, l'artista che rappresenterà la Francia alla 54esima Biennale d'Arte di Venezia. [segue...]



A SCUOLA DI AUTORITRATTO di Fabio Piccini
Si fa un gran parlare di come l’approccio alla fotografia dovrebbe venir insegnato già nelle scuole primarie e secondarie. Ecco allora un esempio concreto che merita d’esser raccontato. [segue...]



IL CINEMA DEL SILENZIO a cura di Angelo Desole
Intervista a Michelangelo Frammartino. [segue...]



PUNCTUM a cura di Fabio Piccini
Un progetto di salute mentale. [segue...]



NUCLEAR CONTROVERSIES a cura di Rossella Biscotti
Continua la digitalizzazione dell'archivio della rivista Around Photography. Questo mese un tema attualissimo, le conseguenze del disastro di Chernobyl attraverso le parole di Wladimir Tchertkoff, importante documentarista, intervistato eccezionalmente da Rossella Biscotti. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

FOTOGRAFARE LA PAURA di Fabio Piccini
Con l’avventura di Serena Salvadori, continua la serie di approfondimenti sulla foto-terapia inziati su aroundphotography.it lo scorso novembre... [segue...]



FOTOGRAFARE GLI INVISIBILI di Fabio Piccini
Miina Savolainen e la fotografia di empowerment. [segue...]



INTERVISTA A MARINA ABRAMOVIC a cura di Stefano Pirovano
Sollecitati da diverse richieste, iniziamo a pubblicare on line anche una selezione di quanto uscito sulla rivista cartacea Around Photography. Si tratta di materiale, inedito sul web, che affiancherà gli approfondimenti legati all'attualità realizzati appositamente per aroundphotography.it. [segue...]



L’AUTORITRATTO FOTOGRAFICO di Fabio Piccini
Verifica o sperimentazione dell’identità? [segue...]



FOTOGRAFIA COME TERAPIA di Fabio Piccini
Su aroundphotography.it inaugura una nuova rubrica aperta al contributo dei lettori. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

MANIFESTA 2010 di Anna Lovecchio
Manifesting Malaise, uno sguardo sull’ottava Biennale Europea di Arte Contemporanea appena inaugurata. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

L’ITALIA PER IMMAGINI di Sergio Giusti
È ancora possibile dire qualcosa dell’Italia contemporanea con la fotografia? Qualcuno ci crede? Qualcuno lo vuole fare ancora? Una lettera aperta. [segue...]

Image and video hosting by TinyPic

SADAKO E IL FUNGO DI HIROSHIMA di Annarita Curcio
Due icone a confronto, nel 65° anniversario del lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Naghasaki. [segue...]



CONVERSAZIONE CON GIANFRANCO MARANIELLO
a cura di Roberto Maggiori

Un'interessante e approfondita intervista al direttore del MAMbo di Bologna. [segue...]



LA CELLULOIDE E IL MARMO: ERIC ROHMER di Marco Grosoli
All’inizio di questo 2010 moriva Eric Rohmer, importante cineasta, critico e saggista. Vogliamo ricordarlo con questo articolo che ripercorre sinteticamente le tappe fondamentali del suo lavoro. [segue...]



SULLE ORIGINI (DI UN FALSO PROBLEMA) di Giacomo Daniele Fragapane
Il “visibile” fotografico e la posizione del soggetto scopico. [segue...]



GREGORY CREWDSON di Gyonata Bonvicini
Quando la fotografia fa il verso al cinema. [segue...]



NEW YORK PHOTO UPDATE di Marco Antonini
Report sulle nuove tendenze fotografiche della grande mela. [segue...]



LA FOTOGRAFIA CHE NON C’È di Federica Muzzarelli
Due brevi paragrafi tratti dall'ampio capitolo "Storia della fotografia manicomiale" pubblicato in "Nonostante la vostra cortese ospitalità". [segue...]



CONVERSAZIONE CON MARIO CRESCI a cura di Anna Lovecchio
Direttamente dal catalogo “Vintage”, recentemente pubblicato dall’Editrice Quinlan, abbiamo estrapolato alcuni passaggi di un’intervista a Mario Cresci... [segue...]



FRIEZE di guido molinari
Qualche assaggio dall'ultima edizione della fiera londinese.
[segue...]

Image and video hosting by TinyPic

È UNA FOTOGRAFIA di Roberto Maggiori
Le stravaganti alchimie dei nostri tempi... [segue...]