L’AUTORITRATTO FOTOGRAFICO di Fabio Piccini

Verifica o sperimentazione dell’identità?

pubblicato il 21 dicembre 2010


Vi siete mai chiesti quand’è che l’uomo ha cominciato ad avere realmente la possibilità di vedersi con chiarezza?
In psicologia si fa un gran parlare della cosiddetta “fase dello specchio” in relazione allo sviluppo psicologico infantile, ma lo specchio, che per noi oggi è cosa ovvia, è stato inventato verso fine del 1700 e soltanto dal 1900 è entrato nelle case della gente comune. Prima di allora le uniche occasioni che un uomo aveva di vedersi erano rappresentate dalla possibilità di specchiarsi in un vetro o nell’acqua, in entrambi i casi l’immagine che veniva restituita era ben lungi dall’essere definita.
Il vedersi in un modo, piuttosto che in un altro, ha un’importanza non da poco rispetto alla costruzione dell’immagine che ognuno ha di sé stesso. Fin dai primi anni della vita, infatti, ciascuno di noi interiorizza una serie di immagini di sé, che gli servono per crearsi la raffigurazione cosciente che ha di sé stesso. Poi, con il passare degli anni, l’immagine iniziale cresce in termini di complessità fino ad arrivare a un punto in cui la crescita si arresta. Ciò accade quando si ritiene di aver raggiunto un livello definitivo di costruzione fisica, psicologica e sociale. A quel punto, l’immagine di sé si stabilizza definitivamente (vi faccio notare che per la maggior parte delle persone tutto questo processo avviene al di fuori della consapevolezza). E’ grazie a questo meccanismo che, ad esempio, riuscite a riconoscervi, o meno, in una fotografia a seconda che l’immagine che vedete quadri, oppure no, con quella di voi che avete immagazzinato nella mente.
Da qui in poi, infatti, le persone cercano di conservare a tutti i costi l’immagine che si sono fatte di sé, anche di fronte alle più svariate sollecitazioni atte a dimostrar loro il contrario. Inoltre, tendono a rifiutare tutte quelle raffigurazioni che non corrispondano con la loro immagine interiore; anche a costo di pagare questo rifiuto con le più svariate sofferenze psicologiche. Da qui l’importanza di imparare a ri-vedersi in tutta la propria complessità, perché è solo accettando le mille sfaccettature della personalità che è possibile diventare individui completi e liberarsi dei conflitti che limitano libertà e benessere interiori, ovviamente l’autoritratto fotografico è il metodo principe per giungere a questo risultato.
Se fate caso a un po’ degli autoritratti che si vedono in giro, vi renderete subito conto che si possono raggruppare in due principali tipologie: immagini di conferma, o di verifica dell’identità, e immagini di sperimentazione dell’identità.



La prima tipologia di autoritratti è tipica degli adulti insicuri, o narcisisti, e degli adolescenti (anche se in quest’ultimo caso verifica e sperimentazione coesistono). Gli autoritratti di Gaia B.P. (15 anni), che vedete qui sopra, ben si prestano per esempio a descrivere questa tipologia di immagini di verifica dell’identità.
La seconda tipologia di autoritratti è invece caratteristica dei visionari, degli artisti e dei cercatori delle parti più nascoste di sé stessi. Un bell’esempio di questo tipo di sperimentazione dell’identità è costituita dalle due fotografie di Anna Fabroni che abbiamo pubblicato in apertura e chiusura in questo approfondimento.
Ciò che distingue queste due tipologie di autoritratti (anche nel caso in cui il fotografo sia un professionista), è il criterio estetico che viene perseguito, che nel caso dell’autoritratto di verifica o conferma è invariabilmente una “estetica del bello”. Sono immagini che appaiono “belle”, ma spesso banali. Negli autoritratti di sperimentazione, al contrario, il principio estetico di riferimento è ispirato al sublime (il che può rendere talora queste immagini disturbanti, estreme, o inquietanti). Ma quanta energia trasmettono! Vi traspare tutta la ricchezza e la complessità della personalità del fotografo e dell’individuo che rappresentano.
Ci sarebbe ancora molto da dire sugli autoritratti fotografici ma per il momento mi fermerei qui. E ora, perché non provate a giocare un po’ voi con queste due tipologie di immagini? Il dibattito è aperto, integrazioni, opinioni, perplessità, commenti e fotografie, saranno benvenute e verranno pubblicate volentieri in questa pagina…



*A proposito dell’argomento appena trattato, consiglio il catalogo: Aa.Vv., Mi Vedo Così. Autoritratti fotografici (2010). Richiedibile a: Centro Italiano di Fotografia d'Autore, Bibbiena (0575.536.943).

Articoli precedenti:
FOTOGRAFIA COME TERAPIA

Domande, opinioni e/o autoritratti fotografici, possono essere inviati a aroundphotography@gmail.com con oggetto: AUTORITRATTO. Il materiale sarà pubblicato in questa pagina e, all’occorrenza, commentato dal Dott. Fabio Piccini.

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Di seguito pubblichiamo le fotografie dei lettori arrivate in redazione dopo l'uscita dell'articolo. Ricordiamo che si tratta di un work in progress e altre immagini e/o commenti saranno inseriti volentieri.

Aggiornamento del 14/01/2011


Autoritratto di David Capuana - Milano

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Autoritratti di Rita Santanatoglia (Alìta)

Le fotografie inviate dai lettori sollecitano alcune ulteriori riflessioni sul tema dell’autoritratto fotografico.
Il termine autoritratto porta con sé un grosso bagaglio storico e molta confusione, nonché molti significati contestati. Quando però parliamo di autoritratto fotografico le cose si fanno più chiare, in quanto la fotografia può essere considerata il miglior tipo di specchio mai inventato. Grazie alle proprie caratteristiche la fotografia permette di riprodurre esperienze visive che nella memoria finiscono per diventare iconiche e che possono contribuire a modificare le immagini che un individuo ha interiorizzato nel corso del proprio sviluppo psicologico.
Ci siamo ormai abituati al fatto che molte delle immagini che vediamo nel mondo esterno siano state manipolate o interpolate ma, per motivi di coerenza interna, continuiamo viceversa a pensare che le immagini di noi che ci siamo costruiti e che appartengono ormai al nostro mondo interiore siano, al contrario, vere e indiscutibili, ma così non è.
Dobbiamo dunque avvicinarci alla nostra immagine come a un pianeta in gran parte sconosciuto, cauti e curiosi di cosa - o di chi - potremmo incontrarvi. Dobbiamo cioè imparare a esaminare attentamente la superficie visibile di noi stessi, ma anche essere consapevoli che sotto questa superficie potrebbero celarsi modi di essere e vedere che ci hanno preceduto e che si sono stratificati nell’immaginario collettivo (a proposito di estetica del sublime).
La delicatezza della ricerca e del recupero, che caratterizza tanto gli archeologi quanto i restauratori d’arte, dovrebbe farci da guida per questo lavoro che, se ben condotto, può permettere la riscoperta di capolavori perduti e svelare la complessità della nostra personalità.
Ma, come dicevo nell’articolo, torneremo ancora su questi argomenti.

(Fabio Piccini)


Aggiornamento del 15/03/2011








Autoritratti di Nicoletta Tortone www.nicolettatortone.com

Si fa un gran parlare di autoritratto come autoterapia, ma bisogna intendersi bene su questo concetto.
E’ indubbio che l’autoritratto possa avere una valenza terapeutica. Ma è sicuramente vero che non basta il fatto di scattarsi qualche autoritratto per vedersene magicamente trasformati. Ciò che rende terapeutico il fatto di autoritrarsi non è l’atto in sé, quanto piuttosto il fatto di fermarsi a riflettere sui risultati ottenuti e, a partire da questi, organizzare un percorso evolutivo che si snoda nel tempo.
Un buon esempio di questa metodologia sono i quaderni che Nicoletta Tortone tiene da anni da cui riportiamo alcune fotografie. In queste immagini si assiste infatti a un percorso ciclico di andata e ritorno, dalla sperimentazione alla verifica dell’Io, che ben esemplifica questo concetto. E’ evidente inoltre da questi quaderni, come la testimonianza di un proprio percorso personale possa divenire progetto creativo.

(Fabio Piccini)