ARTICOLI > NUMERO 03 > OTTOBRE/DICEMBRE 2004
AROUND REALITY di Roberto Maggiori

La realtà e/o l’immagine.

photo Da qualche anno a questa parte, gli artisti che operano attraverso i media si sono soffermati abbondantemente sulla sottile linea di demarcazione che separa la realta' dalla sua immagine. Dalla fine degli anni '90, l'uso delle tecnologie riproduttive in ambito artistico si è lentamente convertito. Da una presa di coscienza esistenziale, con problematiche stigmatizzate attraverso un’ oggettiva rilevazione del corpo sociale e individuale, così come dell'ambiente, di azioni e luoghi più o meno topici (Gursky, Ruff, Struth, Tillmans, Dijkstra, Cosci, Tesi, Lambri, Linke, Vitali, ecc.), si è progressivamente passati alla messa in discussione, non tanto di ciò che viene presentato attraverso il frame dell'inquadratura, quanto della sua integrità e credibilità. Nel caso degli artisti accennati, l'effetto realta' che l'immagine video-fotografica 'bypassa' gioca un ruolo fondamentale nel funzionamento dell'opera, mentre per altri, soprattutto dalla fine dei '90, le immagini foto-video hanno rappresentato lo strumento ideale per trasportare lo spettatore in dimensioni altre. Dimensioni che si servono dell'effetto realtà per metterlo in discussione, creando un gioco di specchi che devia l'attenzione dal referente, alla sua metamorfosi bidimensionale, restituendo un ‘profilmico’ indipendente dalla realtà e dunque ambiguo. I lavori di artisti come Thomas Demand, Ross Sinclair, Vik Muniz, Hiroshi Sugimoto, Richard Prince, Erwin Wurm, Michael Sailstorfer, Giuseppe Gabellone e Paola Pivi, solo per citarne alcuni, producono un corto circuito tra l'oggettività della ripresa fotografica, nient'affatto manipolata digitalmente, e l'inganno o la bizzarria irrazionale del risultato che evidenzia, tra le altre cose, l'insufficiente concretezza di un'immagine tanto realistica. Il fine non è solo quello di mostrare la differenza che passa tra realtà e rappresentazione (quand'anche si tratti solo di 'riproduzione'), ma anche concretizzare dimensioni aliene e dalle logiche improbabili, in cui non è tanto il fasullo a proliferare, quanto quella che Marco Senaldi definirebbe una totale indecidibilità tra vero e falso. Naturalmente esiste nello spettatore la consapevolezza di un'immagine potenzialmente fittizia, il problema è come riconoscerla. Oggi la discriminante (ovviamente superficiale) tra vero e falso, nella credenza popolare, dipende dalla provenienza dell'immagine e dunque dalla sua funzione dichiarata. La distinzione sembra allora facile: fotografia professionale (e quindi artefatta) VS fotografia ingenua (realistica), Hollywood VS le telecamere amatoriali, le real TV, i reality show, ecc. Ma è risaputo che una volta fatta la legge, segue l'inganno. A prescindere dalle raffinate strategie di persuasione che i professionisti del settore possono mettere in atto, sfruttando convenzioni di questo tipo, chiunque oggi è in grado di realizzare messe in scena apparentemente ingenue da riprendere (in)credibilmente con una telecamera o una macchina fotografica (emblematico al riguardo il video del californiano Benjamin Vanderford che con pochi accorgimenti la scorsa estate ha realizzato la propria, falsa, decapitazione a cui mezzo mondo ha dato credito). La credibilità di una fotografia o di un filmato, non è dunque questione di fotomontaggio o ripresa diretta, di digitale o analogico, dipende semplicemente dalla 'didascalia' che accompagna il prodotto e dal canale che lo veicola. Ecco allora rinnovarsi l'interesse degli artisti delle ultime generazioni verso l'eterna problematica distinzione tra apparenza e realtà, oggi forse più urgente che mai vista l'audience che i mass media si contendono per concorrere con la realtà.
D’altra parte non è solo la veridicità dell'immagine ad essere messa in discussione dai lavori di questi artisti, ma anche la realtà stessa. Le problematiche legate all'immagine e all'immaginario si accordano infatti ai tempi che le producono. Per esempio, quando la fotografia era considerata veritiera (pur non essendolo mai stata completamente), anche i ruoli sociali erano più stabili e rappresentativi di effettivi modi di essere e apparire, cui corrispondevano indicazioni perlopiù evidenti e univoche. Oggi che le mode, più che aggiornare lo stile della sartoria, propongono stili di vita, i ruoli e le maschere 'usa e getta' proliferano senza tregua e le immagini si adeguano alla documentazione-rappresentazione di questi teatrini instabili, rappresentativi di una società ben più complessa che in passato. Cambia insomma la volubilità e la consistenza della realtà stessa e quindi anche la credibilità di uno strumento indissolubilmente legato a quest'ultima come la fotografia. In questa ormai abusata 'società dello spettacolo', la virtualità dal livello dell'immagine è scesa dunque negli usi e costumi quotidiani, rendendo problematico relazionarsi tanto con le immagini, quanto con la realtà. L'invitante opportunità di incarnare senza sforzo questa o quella maschera, secondo desideri tanto irrefrenabili quanto passeggeri, è passata dunque dall'immaginario alle immagini fino ad invadere la realtà.
Il processo come è noto si è innescato proprio grazie alla fotografia che, già sul finire dell'Ottocento, consentiva a discrete frange di popolazione di testare questa o quella, divertente o monumentale, 'incarnazione' (basti pensare alle cartes de visite, prodotte da Disdéri). Una personificazione fatalmente credibile grazie all'impronta fotografica. Successivamente, dal secondo dopoguerra, grazie alla straripante quantità e diffusione di accattivanti immagini fotografiche, la percezione bidimensionale di cose, luoghi e situazioni, si è via via mescolata all'esperienza vissuta di tutti noi, rendendo più comodo, economico e sicuro esperire il mondo attraverso le fotografie. A questo punto la realtà è entrata in competizione con la fotografia e si è passati così dall'immagine che imita la realà' al paradosso della realtà che tenta di appaiare la spettacolarizzazione dell'immagine (Susan Sontag docet). Il teatrino si è allora spostato dall'immagine alla realtà, dove avvengono, grazie anche alle innovazioni scientifiche e sociali, tutta una serie di mutazioni e mutuazioni immaginifiche, tanto attraverso interventi concreti, che opportunamente messi in scena (Orlan che passa dal bisturi al Photoshop). Ecco così che il confine tra apparenza e realtà dopo il Post human diventa difficilmente individuabile anche nell'esperienza diretta che, paradossalmente, ci fa oggi diffidare dei vicini di casa, mentre ci avvicina ai personaggi tanto familiari quanto astratti, veicolati dai mass media. In questo guazzabuglio, verità e finzione, esperienza diretta e tele-visione, si mescolano inevitabilmente al punto che la credibilità di ciò che ci troviamo di fronte risulta dalla sua somiglianza con ciò che le immagini ci dicono essere la realtà. E, più in generale, dalla capacità di persuasione e quindi dall’autorevolezza che abbiamo concesso alle immagini e ai loro veicoli. Insomma non è più l'immagine tecnologica ad essere testimonianza del reale, ma e' la credibilita' dell'emittente e la 'Fede' che in questo riponiamo a garantire la veridicita’ dell'informazione e quindi dell’immagine. Un po' come avveniva nell'antichità, dove la differenza tra immagine=verita' e immagine=immaginario era dettata dal dogma. Un concetto di fede di questo tipo non è certo rassicurante nell'ambito culturale odierno, né proponibile per distinguere un'immagine 'buona' da una 'manipolata'; ecco allora che le immagini video-fotografiche degli artisti di questi ultimi anni, prendono coscienza dell'assenza di qualsiasi rassicurante certificazione doc che attesti il senso e la profonda contingenza del reale. Da qui il proliferare della 'denuncia' attraverso una produzione artistica che mostra scenari ambigui e incoerenti al limite dell'ironia, o bloccati da un punto di vista vitreo, unico e immutabile, che esclude ogni possibilità di verifica. Insomma, la fotografia e il video diventano metafore privilegiate per ritrarre la realtà odierna: qualcosa di non totalmente reale né esclusivamente immaginario.

FOTO 1 > VIK MUNIZ, Death of Loyalist Militiaman Frederico Borrell Garcia, After Robert Capa, 2004, dye destruction, 136,60x101 cm
FOTO 2 > ROSS SINCLAIR, Real Life Orcadian, 2002, c-print
FOTO 3 > ERWIN WURM, One minute sculpture, 1997-2001, c-print